Il 23 maggio 1992 perdeva la vita il giudice Giovanni Falcone. Cinquantasette giorni dopo lo seguiva, in quell’atroce destino, il magistrato Paolo Borsellino. La mafia li aveva condannati a morte anni prima. Di anni, da quegli eventi ne sono passati trenta. Nelle ultime settimane di questo complicatissimo 2022, le iniziative per non dimenticare hanno attraversato lo stivale, da Sud a Nord.
Ma abbiamo davvero imparato qualcosa nei tre decenni che ci separano da quei fatti?
Si sarebbe tentati di rispondere con un pessimistico ‘no’, soprattutto dopo che nei giorni scorsi uno dei tanti murales dedicati ai due magistrati, quello che si trova a Milano in corso di Porta Ticinese, è stato nuovamente imbrattato. Vandalizzato con della vernice blu da chi non vuole imparare alcuna lezione, da chi accetta la criminalità, anzi la ritiene desiderabile, da chi vende la libertà propria e altrui al miglior offerente. O forse quel graffitaro da due soldi (che ha offeso anche i bravissimi street artist) è semplicemente una persona affetta da protagonismo, un balordo in cerca di popolarità; con il suo gesto mirava a ottenere un effetto mediatico. E noi, scrivendone, stiamo assecondando un desiderio da due soldi.
L’esempio di Falcone e Borsellino, del loro impegno contro la mafia e la criminalità organizzata (perché non ne esiste un solo genere) ha in realtà lasciato ben altri semi. Molti di quei semi sono germogliati in piante meravigliose, alberi con fusti solidi e radici ben ancorate nella terra.
Un’eredità che non scompare certamente con qualche schizzo di vernice su un murale. Quello milanese tornerà integro come prima e meglio di prima. E se anche, per assurdo, dovessero tutti i murales d’Italia e del mondo (realizzati in onore di Falcone e Borsellino) diventare un obiettivo degli imbrattatori del valore altrui, perché loro di valore non ne hanno, ciò non farebbe altro che rendere ancora più forte il messaggio dei due magistrati.
Tra i semi più importanti lasciati nella terra di Sicilia da Giovanni Falcone c’è Verbumcaudo. Ieri un antico feudo delle Madonie, del quale i mafiosi si erano appropriati, oggi realtà giovane che si occupa di coltivazioni biologiche. Fino al 1983 la masseria è appartenuta ai fratelli Greco, boss reggenti della famiglia di Ciaculli. Un bene confiscato alla mafia, quindi, divenuto un modello di sviluppo delle comunità, di impegno diretto dei giovani e delle istituzioni.
Un luogo che tanti bravissimi ingegneri, geologi, esperti di coltivazioni sostenibili, guide naturalistiche e altre figure professionali hanno trasformato in un simbolo di resistenza, non solo al malaffare, ma anche alla mancanza di lavoro. Chi si adopera per e con Verbumcaudo crede nella possibilità di restare in Sicilia, nella necessità di non abbandonarla. La propria strada, in altre parole, la si può trovare senza farne fisicamente tanta, senza emigrare all’estero. A volte è proprio quella che si vede sbucare dietro l’angolo di casa.
Lenticchie, ceci, pasta, vino e altri prodotti della terra, tutti rigorosamente bio, si possono acquistare anche on line (in questo momento le scorte di alcuni articoli devono essere rifornite).
Come si legge sul sito (https://verbumcaudo.it/) della cooperativa sociale, Verbumcaudo sta germogliando dove prima dominava la mafia e, grazie a una nuova iniziativa progettuale sostenuta dalla Fondazione con il Sud, dalla Fondazione Peppino Vismara e realizzata dal Consorzio Agrietica, in partenariato con i comuni di Polizzi Generosa e Valledolmo, Confcooperative Sicilia, Consorzio Madonita per la Legalità e lo Sviluppo e CRESM – Centro di ricerche economiche e sociali per il Meridione, continuerà a rendere fertili e produttivi i 150 ettari di terreno che custodiscono tutta la speranza di un territorio e delle persone che lo abitano, delle tante realtà associative e cooperative, e dei lavoratori che hanno deciso di non cedere all’oblio ma coltivare comunità e seminare futuro.