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Lo stiamo ripetendo da tempo, lo dicono i giornali, la tv, e i social sono pieni di notizie di questo genere: la crisi climatica sta raggiungendo livelli incontrollabili.

A ribadirlo è Johan Rockström, scienziato svedese e direttore congiunto del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania, riconosciuto a livello internazionale per il suo lavoro sulle questioni della sostenibilità globale. 

Secondo gli accordi del Green Deal le emissioni di gas serra dovranno ridursi del 55% rispetto al 1990, entro il 2030, per raggiungere l'obiettivo concordato dagli stessi accordi internazionali di mantenere l’innalzamento della temperatura media globale entro 1,5°C . Ad oggi questo non sta avvenendo. 

Mentre il Pianeta è in crisi, i giganti del petrolio e del gas godono di grandi introiti come conseguenza dell’aumento della domanda post-Covid e a seguito dell’invasione russa dell'Ucraina.

Come cita il quotidiano britannico “The Guardian”, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia  (AIE), l’industria dei combustibili fossili nel suo complesso ha accumulato nel 2022 quattro trilioni di dollari (il doppio rispetto alla normalità) attraverso la riscossione di ingenti tasse straordinarie giustificate  dall’aumento del costo della vita e finanziamenti volti alla transizione verso l'energia rinnovabile.

Il rapporto dell'AIE afferma:

“se l'industria globale del petrolio e del gas dovesse investire questo reddito aggiuntivo di due trilioni di dollari  in combustibili a basse emissioni, come l'idrogeno ed i biocarburanti, finanzierebbe tutti gli investimenti necessari per il resto di questo decennio",

in questo modo si raggiungerebbero emissioni nette pari a zero entro la metà del secolo, o almeno si spera. Non possiamo dire con certezza che questo sia sufficiente. 

I protagonisti di questo cambiamento sono i Paesi del G20, principali responsabili delle emissioni di gas serra (circa l’80%). Il loro compito dovrebbe essere quello di spianare la strada verso una svolta radicale. 

D’altro canto le tensioni geopolitiche si interpongono all’obiettivo prefissato.

Le Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) affermano invece che non esista nessun “percorso credibile verso la soglia di 1,5°C” ma che l’unico modo per limitare i peggiori impatti della crisi climatica sia una rapida trasformazione delle società. Anche se si rispettassero gli impegni - ma questa affermazione di per sé è poco probabile - fissati entro il 2030 così come si è stabilito lo scorso anno a Glasgow al vertice del Cop26, questo comporterebbe comunque un aumento del riscaldamento globale di circa 2,5°C, un livello che come abbiamo detto condannerebbe il mondo a un catastrofico collasso climatico. 

Tuttavia non sono necessari accordi di Parigi o di Glasgow per rendersi conto che la situazione è a un punto di non ritorno.

Il futuro del pianeta è in mano alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici o anche conosciuta come Cop27, tenutari in questi giorni a Sharm el-Sheikh.

C'è una piccola ma reale possibilità di cambiamento significativo. Con così tanto in gioco i leader globali saranno finalmente in grado di trovare una soluzione per poi mobilitarsi? La finestra temporale va man mano chiudendosi, e noi, ci auguriamo che si trovi presto una soluzione. 

 


Fonte:   Tania Montanaro